Il rovescio dell’abito di Marta Morazzoni

Il rovescio dell'abito di Marta Morazzoni

Il rovescio dell’abito, l’ultimo romanzo di Marta Morazzoni, Premio Campiello nel 1997, ripercorre la discesa verso la povertà dell’iconica Marchesa Luisa Casati, la donna che a inizio Novecento, con il suo originale estro e una copiosa ricchezza, fu capace di trasformarsi in un’opera d’arte vivente.

Marchesa Luisa Casati

Il rovescio dell’abito

Morazzoni romanza gli ultimi giorni da ricca della Marchesa Casati, finita in bancarotta dopo aver sperperato incoscientemente la propria copiosa fortuna.
Mentre soggiorna al Palais Rose appena fuori Parigi, Luisa apprende dall’avvocato Giuseppe Bassi che tutti i suoi beni saranno confiscati a breve e che non potrà trattenere niente altro che qualche abito, lasciando andare i gioielli unici e preziosi e anche le innumerevoli opere d’arte di cui era stata musa ispiratrice.

«A settembre potrei andare a Cannes, la casa dei Greffulhe sarà ancora aperta, la stagione si allunga fino a tutto ottobre, di solito. Non che io ami il mare, ma farò di necessità virtù.» Intanto mangiava ostriche con una voracità che al Bassi fece pensare a un animale che faccia scorta per i tempi grami dell’inverno. Se non era la morte, quanto meno il letargo.

L’avvocato, che aveva curato il suo divorzio dal marchese Camillo Casati, ha nei confronti della donna un’inspiegabile premura particolare, forse perché la considera una creatura ai limiti della divinità o molto più probabilmente perché la vede del tutto incapace di reinventarsi e riuscire a tollerare una caduta di rango così vertiginosa.

Nel tentativo di aiutarla davvero, l’avvocato incontra più e più volte il marchese, al quale chiede di intercedere affinché l’ex moglie non si ritrovi in mezzo a una strada. L’uomo, però, per quanto si sia rifatto una vita accanto alla morigerata e insipida Anna, non riesce a mettere da parte il rancore accumulato negli anni del matrimonio, quando Luisa non ne aveva stima e soleva tradirlo con uomini del calibro di Gabriele D’Annunzio.

Le dee non muoiono, passano, e quel che lasciano indietro al loro passaggio è qualcosa che non ha a che fare con la memoria, è piuttosto un’ostinata, materica persistenza. Questo aveva sempre pensato di sé. Inutile cercare di capire e annaspare alla ricerca di una ragione. Non c’era. C’era lei, umana infinitamente.
Poi una volta, davanti a uno dei suoi ritratti il D’Annunzio aveva sentenziato: La carne non è che spirito promesso alla morte. Se lo ricordò e le vennero i brividi.

Non era una questione solamente carnale per Luisa: lei amava circondarsi di bellezza e di arte, di persone colte, irriverenti, capaci di riempire la sua vita di emozioni che un’esistenza placida e normale non avrebbe mai fatto nascere.

Marta Morazzoni dipinge in modo schietto e impietoso il ritratto, talvolta crudele, di una donna così eccessiva da aver smesso d’essere umana per trasformarsi in opera d’arte, ben distante quindi dal pragmatismo terreno e da sentimenti reali.

La narrazione non lineare, con continui flashback che raccontano l’ascesa del mito intrecciandosi col presente in cui avviene la caduta, non rende la lettura particolarmente agile, ma lo stile ineccepibile dell’autrice, quel suo saper usare in modo naturale parole di un certo calibro e renderle fruibili senza alcuna saccenza, fanno de Il rovescio dell’abito un libro che si legge con piacere, soprattutto se si è attratti dalle biografie romanzate e dalla Belle Époque.

un libro per chi: vuole conoscere l’ascesa e la caduta di un mito

autrice: Marta Morazzoni
titolo: Il rovescio dell’abito
editore: Guanda
pagg. 256
€ 18

Chi ha scritto questo post?

Emiliano-romagnola, ragazzina negli anni ’80, si è trasferita a Milano nel 2008 e per molto tempo è stata un "angelo custode di eventi".
Da anni si occupa anche di libri: modera incontri letterari, ha ideato e realizzato la rassegna Segreta è la notte e conduce diversi gruppi di lettura.
Pratica mindfulness dal 2012, sogna sempre le montagne e ascolta musica jazz.
È meno cattiva di quello che sembra e vorrebbe morire ascoltando “La Bohéme” di Puccini.

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