Il vento dell’Etna di Anna Chisari

Sulla copertina de Il vento dell'Etna di Anna Chisari c'è il ritratto ottocentesco di una bella giovane donna al riparo sotto un albero di arance

Uscito per Garzanti nel 2022, Il vento dell’Etna di Anna Chisari cavalca l’onda delle appassionanti saghe familiari e lo fa raccontando la storia dei Baruneddu, stirpe originaria di Belpasso, alle pendici dell’Etna, che nasce nella prima metà dell’Ottocento grazie alle abili mani artigiane del capostipite, Puddu Pittera.

Il vento dell’Etna

Malpasso che era diventata Belpasso perché la fortuna si cambia anche cambiando i nomi. Belpasso che ospitava le regine perché i suoi boschi erano salubri, le chiese ricche e i munacheddi facevano il vino buono. Belpasso rifatta a scacchiera con le strade dritte che si incrociavano tra di loro e le chiese come torri per difendere il sacro e il profano: la Matrice al centro, la chiesa di Sant’Antonio a sud, la chiesa delle Anime del Purgatorio nord. Per fortuna e per grazia do  Signuruzzo, a Muntagna dal 1669 non aveva seminato distruzione. Era stata, forse, la devozione dei paesani che pregavano incessantemente Dio e tutti i santi di conservare quell’angolo di mondo dove stavano tanto bene.

Non è una terra facile la Sicilia del 1800, dominata da una nobiltà che sfrutta il popolo e lo rende sempre più povero.
A Belpasso nel 1838 nasce da Mariannina e Girolamo Pittera il piccolo Giuseppe, detto Puddu, un bambino destinato a sognare in grande e a realizzare, non senza fatica, i suoi desideri.
Nonostante le umili origini, Puddu ha il sostegno della sua famiglia quando, ancora ragazzo, decide di aprire una bottega da calzolaio e di dedicarsi anima e corpo alla creazioni di scarpe eleganti, originali e leggere come una nuvola.
Saranno proprio le scarpe a fargli guadagnare il titolo nobiliare di Baronetto e una rendita che sarà reinvestita nella calzoleria, facendola crescere e diventare una vera e propria azienda.

L’urlo di Mariannina spezzò il silenzio che gravava sulla bottega traboccante di incredulità e invidia. «Mio figlio è Baronello e io sono sua madre» e tutti ripeterono: «Baronello Baronello Baronello». Don Nino disse: «Picciotti, ora Puddu è Baronello come il Barone Bufali, dobbiamo stare attenti a rivolgergli la parola», e uscì di corsa per riferire quello che aveva sentito al suo padrone. In meno di mezz’ora il paese seppe dalla favola di Puddu e la notizia passò di bocca in bocca. I paesani si rallegrarono, invidiarono, imprecarono, benedissero. Ognuno disse la sua: aggiunsero particolari e dettagli, inventarono maldicenze, santificarono il calzolaio che, giurarono, aveva le mani miracolose e aveva sanato i piedi sanguinanti e piagati della Duchessa; per questo lo aveva nominato Baronetto e lo aveva arricchito con mille onze all’anno.

Chisari non lesina sulle espressioni dialettali e sui detti che ci fanno immergere nell’atmosfera di una Sicilia antica e ricca di tradizioni e superstizioni; l’autrice non teme nemmeno di usare espressioni e immagini forti per raccontare la violenza di quel tempo, in cui la donna era quasi sempre e solo moglie e madre devota, sottomessa con il sesso più brutale, privata della possibilità di avere un proprio pensiero e la possibilità di scegliere per sé stessa.

Le generazioni discese da Puddu non avranno vita semplice, a partire da Peppino che, per troppo amore, subisce la maledizione della possessiva Gnu Ranna. Da quel momento, la felicità sarà un miraggio lontano, un qualcosa di sconosciuto anche per chi verrà dopo.

La mattina in cui Gnu Ranna scoprì la fuitina di Nunzia con Peppino fu la peggiore mattina che Saru avesse mai vissuto nella sua vita. Veneranda imprecò contro la sua inutilità e la sua incapacità di proteggere la figlia, disse che era baddi di pecora, un babbu che non aveva il coraggio di niente. Veneranda, come se fosse diventata pazza, rivoltò la casa e la stanza di Nunzia, buttò all’aria il telaio, il cestino con gli aghi e le sete, aprì i cassetti del canterano, scagliò a terra i vestiti della figlia e ci saltò sopra, ruppe tutti i piatti e tutti i bicchieri in cucina.

L’Etna che pare stare sullo sfondo, è in realtà protagonista tanto quanto i Baruneddu; una presenza vivida, talvolta minacciosa, sempre dominante, una grande madre che assiste a oltre 150 anni di storia della famiglia che vedrà in Ajtina, figlia di Peppino, la prima donna a farsi valere e a prendere in mano ciò che resta dell’impero creato da Puddu.

A differenza di altre saghe, decisamente più corpose, Anna Chisari costruisce una storia compatta, che non si sofferma a lungo sui dettagli ma scorre con la foga di una narrazione urgente e incontenibile, che doveva per forza emergere, per essere scritta e per farsi leggere, come un’eredità che non può finire nel dimenticatoio.

Se è vero che forse sarebbe stato ancora più piacevole saperne di più su alcuni personaggi, è altrettanto vero che in questi anni di saghe familiari che spuntano come funghi è fondamentale catturare l’attenzione di lettrici e lettori, senza annoiarli con lungaggini che tolgano ritmo alla storia, effetto sicuramente riuscito alla penna dell’autrice, nonostante in alcuni tratti si noti lo stile ancora acerbo, anche se certamente promettente.
La dinastia dei Baruneddu vive e palpita sulle pagine, forse anche grazie alla ruvidezza di certe scene, che contribuiscono a rendere ancora più vera la storia che ci troviamo a leggere.

Il vento dell’Etna è un romanzo sincero, che riesce a coinvolgere fino all’ultima riga.

un libro per chi: ama le saghe familiari e ha particolarmente a cuore la Sicilia

autrice: Anna Chisari
titolo: Il vento dell’Etna
editore: Garzanti
pagg. 250
€ 13

Chi ha scritto questo post?

Emiliano-romagnola, ragazzina negli anni ’80, si è trasferita a Milano nel 2008 e per molto tempo è stata un "angelo custode di eventi".
Da anni si occupa anche di libri: modera incontri letterari, ha ideato e realizzato la rassegna Segreta è la notte e conduce diversi gruppi di lettura.
Pratica mindfulness dal 2012, sogna sempre le montagne, ascolta musica jazz e vive un'intensa storia d'amore con il suo beagle Franco.
È meno cattiva di quello che sembra e vorrebbe morire ascoltando “La Bohéme” di Puccini.

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