Articolo a cura di Metella Orazi.
Con l’uscita di Virgil Wander, pubblicato da Fazi, Leif Enger, autore americano del Minnesota, ha interrotto una pausa di circa dieci anni dal suo ultimo libro.
Virgil Wander
Virgil sta viaggiando sulla sua auto lungo la costa del Lago Superiore, nel Midwest, verso casa a Greenstone, ma è tardi e c’è una burrasca di neve in corso, per questo in un attimo perde il controllo del mezzo e finisce dritto in acqua.
La fortuna lo assiste perché viene subito avvistato, recuperato e portato fuori dalle acque gelide del lago, ma da quel momento, per lui, nulla è come prima.
Virgil è vivo ma la sua memoria e il suo vocabolario sono bloccati, fatica a esprimersi e alcune delle persone che conosceva prima dell’incidente le ha dimenticate.
Avevo freddo alle caviglie, così continuai a camminare. Per la prima volta cercai di ricordare cosa avesi provato sfondando il guardrail e volando giù dalla scogliera. Non mi veniva in mente niente. Marcus mi aveva descritto a gesti il volo della Pontiac nel lago, per cui avevo un’immagine approssimativa, ma era tutta farina del suo sacco. Che fine avevano fatto i miei ricordi? E se davvero avessi visto le dolci colline dell’aldilà?
L’uomo deve ricostruirsi, ripensare alla propria vita lenta di provincia a Greenstone, dove lavora come messo comunale e dove è anche proprietario di un vecchia sala cinematografica, l’Empress, sull’orlo della chiusura. Per il cinema si impegna economicamente oltre alle sue reali possibilità, eppure lo ama in maniera romantica, temendo di dover prima o poi cedere al digitale, abbandonando le scomode ma predilette bobine.
Mi chiese se mi piaceva lavorare all’Empress, e confessai di sì. Malgrado le infiltrazioni dal tetto e il bilancio in rosso, era sempre bello sbobinare una fiaba per un pugno di anime, una sera ogni tanto. Mi sembrava fosse ancora utile. Un fotogramma alla volta si riesce a sopportare anche i momenti duri, perché subito dopo arriva qualcos’altro. Che magari ti tira su.
Virgil vive solo e non è più tanto giovane e ora neanche tanto in forma, ma è circondato da una comunità di concittadini sui quali può contare, a partire da Rune un anziano fumatore di pipe, giunto a Greenstone per cercare nella memoria del passato qualche indizio sul figlio Alec, scomparso misteriosamente, lasciando un figlio, Bjorn, sveglio e giudizioso, che vuole affermarsi come essere a sé stante e non solo come figlio di suo padre.
Virgil riparte dai rapporti umani con loro, con Nadine, la vedova di Alec e mamma di Bjorn, corteggiata da tutti ma che non sembra volere nessuno, e con la famiglia Pea alle prese con mille problemi.
Per Virgil tutto è una scoperta, anche ciò che già conosceva.
Cominciavo a sentirmi anch’io come un personaggio di un film, pieno di buone intenzioni ma secondario, entrato in scena troppo tardi. Avrei voluto riavvolgere la pellicola per guardare le scene precedenti, in cerca di indizi e allusioni, per scoprire cosa mi aspettasse nell’ultimo rullo.
Enger parla di un’America lontana dallo scintillio hollywoodiano, dipinge una provincia in cui quello che più conta sono i rapporti tra le persone, i legami che creano una comunità che si aiuta anche quando la vita va in pezzi e bisogna ricostruirla.
Virgil Wander è un libro a tratti umoristico, ironico e divertente soprattutto nella caratterizzazione del personaggio principale, ma non manca di una sottile coltre di malinconia, disseminata tra i vicoli di quella cittadina in cui Bob Dylan per due volte buca una gomma mentre l’attraversa e dove alcuni abitanti muoiono o spariscono senza motivo.

un libro per chi: non teme, per dirla con Guccini, la grazia o il tedio a morte del vivere in provincia
autore: Leif Enger
titolo: Virgil Wander
traduzione: Stefano Tummolini
editore: Fazi
pagg. 383
€ 19