Gli occhi vuoti dei santi di Giorgio Ghiotti

Gli occhi vuoti dei santi di Giorgio Ghiotti

Vorrei avere lo stesso sguardo sul mondo che ha Giorgio Ghiotti, capace di tramutare la vita in istantanee verbali potenti come la verità e delicate come i ricordi.
Ne Gli occhi vuoti dei santi, la raccolta di racconti uscita in libreria per Hacca, questo sguardo limpido e penetrante non può che confermare la maturità di un indiscutibile talento narrativo.

Gli occhi vuoti dei santi

Sono dodici i racconti con cui Ghiotti ci accompagna nella vita di persone comuni, impudiche nel rivelare i propri intimi pensieri, nel mostrare la vulnerabilità che li accompagna sempre e ovunque, nell’esprimere la ferocia di pensieri momentanei e di gesti improvvisi.

Come nel finale inaspettato e sconvolgente di Sacra Famiglia in fiamme, che ribalta, travolge e trasforma in tragedia la normalità di una famiglia come tante.

Mio padre vi dà il pane ogni giorno! avrei voluto gridare al microfono, Sono fiero di lui! A quel tempo ero davvero orgoglioso di lui, mi sembrava il lavoro più importante del mondo impastare farina e lievito perché sfamare un quartiere vuol dire anche avere il potere di deciderne la sopravvivenza. Nessuno sapeva fare il pane; i genitori dei miei compagni di scuola erano ottimi banchieri, agenti immobiliari, parrucchiere in centri benessere le donne. Di quell’uomo piccolo e troppo gentile chiuso in un forno di notte a tenersi compagnia con la radio nessuno avrebbe avuto memoria. Ci sarebbe stato un altro fornaio quando mio padre sarebbe morto, e dopo di quello un altro ancora, e la radio sarebbe stata sempre la stessa SONY col metallo della retina spezzato.

I personaggi raccontati da Ghiotti – alcuni dai tratti così realistici da risultare più biografia che fantasia – sono spesso persone in cerca di qualcosa che li tenga incollati alla vita, di boe che li trattengano dall’essere portati via dalle tumultuose onde del desiderio, dagli impicci della famiglia, dalle invidie e dai livori.
Al tempo stesso – poiché nella vita reale nulla è solo bianco o nero – siamo davanti a un’umanità ferita, scottata dalle emozioni e dai sentimenti, in attesa di essere amata e di amare.

Come i protagonisti di Noi due, Carlo e Adriana, che stanno insieme da sempre.
Lei è poco più vecchia di lui, eppure tutti la scambiano per sua madre, perché il tempo non ha avuto pietà della sua pelle e dei suoi lineamenti.
La loro coppia è una macchina che funziona bene, senza grandi accelerazioni o brusche fermate, in un trantran quotidiano tanto rassicurante quanto soffocante. Non stupisce quindi che Adriana abbia trovato un amante e che Carlo, per non perderla e per non perdersi, chieda furbescamente di instaurare un rapporto a tre. Ma i triangoli, anche se alla luce del sole, sono sempre più faticosi che eccitanti.

Non sono mai stato geloso. Un po’ per natura, un po’ perché non ti ho mai ritenuta una minaccia. Tu sei brutta, una bruttezza naturale che non mette soggezione né imbarazzo, che passa inosservata e somiglia all’insignificanza; io sono invece non proprio bello, quel che si dice un tipo interessante.

Con una prosa evocativa e tendente al lirismo della poesia, senza però mai apparire ridondante e fuori contesto, Giorgio Ghiotti con Gli occhi vuoti dei santi dona ai lettori dodici frammenti di pura bellezza.
Frammenti che sanno insinuarsi nell’intimità più profonda e oscura di chi li legge, trasformandosi in vividi ricordi personali.
Da leggere stupefacendosi di questa potente magia narrativa.

un libro per chi: sa che è giunto il momento di mettersi a nudo davanti a uno specchio

autore: Giorgio Ghiotti
titolo: Gli occhi vuoti dei santi
editore: Hacca
pagg. 187
€ 15

Chi ha scritto questo post?

Emiliano-romagnola, ragazzina negli anni ’80, si è trasferita a Milano nel 2008 e per molto tempo è stata un "angelo custode di eventi".
Da anni si occupa anche di libri: modera incontri letterari, ha ideato e realizzato la rassegna Segreta è la notte e conduce diversi gruppi di lettura.
Pratica mindfulness dal 2012, sogna sempre le montagne e ascolta musica jazz.
È meno cattiva di quello che sembra e vorrebbe morire ascoltando “La Bohéme” di Puccini.

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