Il paese che era la nostra casa di Alia Malek

Il paese che era la nostra casa di Alia Malek

Un saggio di geopolitica?
Non solo.
Un romanzo?
Non proprio.
Un memoir?
Anche.
Non saprei come definire Il paese che era la nostra casa, il libro di Alia Malek pubblicato in Italia da Enrico Damiani Editore, ma posso certamente dire che le sue oltre quattrocento pagine, densissime e strabordanti di informazioni, si leggono con piacevole voracità.
E chi ha bisogno di definizioni, quando si ha davanti una lettura così coinvolgente?

Il paese che era la nostra casa

Alia Malek è nata negli Stati Uniti da genitori siriani. È stata un avvocato per i diritti civili e oggi è giornalista e scrittrice.
In questa non-fiction affascinante e avvincente racconta il suo ritorno in Siria nel 2011, poco dopo l’inizio della Primavera Araba, ufficialmente per ristrutturare la casa della nonna materna, ufficiosamente per raccontare al mondo l’evoluzione di quella che avrebbe dovuto essere una lotta per la liberazione, trasformatasi poi in una sanguinosa guerra che tuttora – nonostante sembri avviarsi alla conclusione – vessa la popolazione siriana.

Da quel momento la Malek raccoglie informazioni sulla propria famiglia, ricostruendone l’epopea a partire dalla fine dell’Ottocento, in un lungo viaggio tra i ricordi di un intero popolo e della sua terra.
Il bisnonno Abdeljawwad, sceicco fermo ma generoso verso il popolo e fin troppo amante delle donne, assicurò alla numerosa famiglia prosperità e benessere, muovendosi con scaltrezza e diplomazia tra i diversi, a volte tragici, episodi che portarono la Siria a diventare indipendente dalla Francia, nel 1946.
Sposato a una donna dal cuore nobile e che tradirà per tutta la vita, lo sceicco diventa padre di numerosi figli, tra cui Salma, la prima figlia femmina a non morire da piccola, diversamente dalle sorelle che l’avevano preceduta.
Fin dalla nascita, quindi, la nonna di Alia dimostra subito una tempra solida e determinata, un carattere certamente insolito per una donna dell’epoca.

Salma era una donna sicura di sé; suo padre a Hama era ricco e influente nelle campagne. Certo, Hama era piccola rispetto alla capitale, ma la nonna era fiera della reputazione dei suoi abitanti come persone tenaci e conservatrici, nel senso che le famiglie erano molto unite e mantenevano i costumi e le usanze di una volta. In questo modo Salma acquistò una spavalderia che le valse il soprannome di «sorella di uomini»: un modo un modo per dire non tanto che aveva dei fratelli, e in effetti ne aveva più d’uno, quanto che per certi versi era un uomo anche lei. Ed è vero che la nonna si riconosceva nell’immagine del padre e dei suoi fratelli.

Nel 1949 Salma sposa Amin, funzionario pubblico, e si trasferisce a Damasco, per iniziare una nuova vita accanto a questo uomo di cui non sarà mai davvero innamorata, ma che le darà tre figli, tra cui Lamya, la madre dell’autrice.
Nel condominio che scelgono come casa, i nonni di Alia costruiscono la loro vita e attraverso il racconto di quegli anni, costellato di piccole abitudini, di amicizie, di tradizioni familiari, impariamo a conoscere il ventre della Siria, i suoi abitanti e la loro cultura.

A differenza della tradizionale casa araba monofamiliare, un condominio con tanti nuclei metteva le persone a contatto con estranei che spesso diventavano come parenti.
Ci si faceva visita durante le rispettive festività, si stringevano amicizie, alcune superficiali altre eterne, e a volte ci si rinfacciavano a distanza di anni episodi che avevano avvelenato i buoni rapporti, gravi «peccati» come quello del vicino di sopra, che si era preso troppa frutta dai rami alti della pianta del vicino di sotto. Ma negli anni che la nonna passò al Tahaan non ci furono screzi tali da intaccare una serena convivenza.

La salita al potere di Assad nei primi anni Settanta e il precipitoso involversi della situazione siriana, in aggiunta all’improvviso matrimonio tra Lamya e il giovane medico Sharif, già espatriato in America per proseguire la specializzazione, faranno sì che la Malek e i suoi fratelli nascano e crescano negli Stati Uniti, dove sarà loro garantita una vita libera e serena.
Una serenità contrapposta alla costante nostalgia delle radici siriane.

A Lamya mancava la Siria. Mancava anche a Sharif, ma lui era partito alla fine del 1969 e si era abituato alla nostalgia. A lei mancava la sua famiglia, le mancavano i suoi amici e la facilità con cui a Damasco uscivi di casa e ti sentivi in mezzo a tutto.

Il ritorno della Malek in Siria, raccontato nella seconda parte del libro, ci porta in un mondo abitato da codardi che detestano Assad ma che lo inneggiano comunque, pur di salvarsi la pelle, ma ci presenta anche tanti uomini e donne coraggiose, che non usano la violenza per farsi sentire ma che ogni giorno, con le loro idee e le loro azioni, si schierano contro il regime del presidente dittatore e combattono contro la repressione.
Rimane viva, pagina dopo pagina, la speranza che un giorno Damasco torni a essere la città pacifica e ricca di bellezza che fu un tempo, anche se, probabilmente, nessuno degli abitanti del condominio al centro della trama, riuscirà a vederne la rinascita.
La stessa Malek nel 2013 ha lasciato la Siria, dopo l’insistenza di amici e parenti preoccupati per la sua incolumità.

Da tempo gli attivisti, i giornalisti e i corrispondenti stranieri che erano riusciti a entrare in Siria rappresentavano una spina nel fianco per le autorità. In quell’attacco di fine febbraio morirono di nuovo dei giornalisti stranieri, e altri rimasero gravemente feriti. I loro referenti siriani rischiarono generosamente la vita per aiutare i superstiti stranieri a riguadagnare la libertà, e diverse siriani morirono nell’impresa. Il governo negò di aver voluto prendere di mira i giornalisti e respinse qualsiasi responsabilità per la morte di persone che «si erano infiltrate in Siria a proprio rischio e pericolo, senza che le autorità siriane ne fossero a conoscenza».

Il paese che era la nostra casa è un tuffo nel passato di una terra affascinante e ricca di contraddizioni, ma è anche la lucida e vivida analisi dell’attuale situazione politica, raccontata con fervore dalla Malek, forte del desiderio di far conoscere agli occidentali la storia della Siria e tutto ciò che ancora non è stato veramente compreso sul conflitto che la sferza da più di sette anni.
Un testo efficace e fondamentale per chi voglia approfondire un tema così importante, ma anche un’intensa e bella lettura per chi ama le romantiche e avventurose saghe familiari, così piacevole da farsi perdonare gli svariati refusi sfuggiti probabilmente in fase di correzione bozze.

Il paese che era la nostra casa di Alia Malek

un libro per chi: ha amato La casa degli spiriti di Isabel Allende ed è incuriosito dal Medio Oriente e dalla sua storia più recente

autore: Alia Malek
titolo: Il paese che era la nostra casa
traduzione:
editore: Enrico Damiani Editore
pagg. 438
€ 19

Chi ha scritto questo post?

Emiliano-romagnola, ragazzina negli anni ’80, si è trasferita a Milano nel 2008 e per molto tempo è stata un "angelo custode di eventi".
Da anni si occupa anche di libri: modera incontri letterari, ha ideato e realizzato la rassegna Segreta è la notte e conduce diversi gruppi di lettura.
Pratica mindfulness dal 2012, sogna sempre le montagne e ascolta musica jazz.
È meno cattiva di quello che sembra e vorrebbe morire ascoltando “La Bohéme” di Puccini.

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