La confezionista di Mariana Leky

La confezionista di Mariana Leky

Dopo Quel che si vede da qui, il realismo magico di Mariana Leky torna ne La confezionista, romanzo del 2010 pubblicato ora da Keller.

La confezionista

Katja, come tutti noi, cerca di mantenere in salute i suoi denti, ed è proprio durante una visita dal dentista che incontra l’uomo che diventerà suo marito.
Jakob è una persona alquanto non convenzionale: ama passeggiare la sera, arrivando fino al buio profondo dei boschi; vivrebbe in una tenda, con il minimo indispensabile, è essenziale persino nei sentimenti, che sono sì profondi ma anche privi di orpelli romantici.

Katja e Jakob è proprio nella diversità che si sentono vicini, mettendosi d’impegno per capirsi e per venirsi incontro, tanto che anche da sposati non sentono la necessità di conformarsi alle convenzioni di coppia.
Un giorno, però, Katja inizia a vedere offuscato il mondo che la circonda. Pure Jakob le appare distante; scompare e riappare, scompare e riappare, fino a quando trova il coraggio di confessarle che non tornerà più.

La bara era davanti all’altare. Il motivo per cui non piangevo era che mi aspettavo qualcosa di assurdo, pensavo che finché la bara stava lì, finché non veniva alzata c’era ancora tempo, finché stava lì Jakob non se n’era andato, c’era ancora, era ancora possibile, e quando i necrofori si avvicinarono alla bara per caricarsela sulle spalle mi sentii male. Tutto ciò che stava nell’addome, tutte le viscere al completo sembrarono scivolare verso il basso.

La vita, che sa essere beffarda e spesso crudele, ha in serbo per Katja solitudine e dolore.
È l’incontro inaspettato con un distinto signore, il dottor Blank, a fare una piccola crepa in quel muro di sofferenza dietro cui  si è nascosta a leccare le ferite.
La crepa si allargherà con l’arrivo improvviso di Armin, un giovane e invadente pompiere che suona alla sua porta, cercando un incendio inesistente.

Ma se Armin è un ragazzo in carne e ossa, fissato con la saga cinematrografica di Karate Kid, il dottor Blank è invece un fantasma, un amico immaginario introverso e timido, che non ha nemmeno avuto il coraggio di palesarsi alla moglie fedifraga.

Questo trio di bizzarri personaggi si trasforma ben presto in una sorta di tenera famiglia e Katja riuscirà, grazie a questi due “uomini” tanto diversi, a ridare un senso alla propria vita spezzata dal tradimento e poi dal lutto.

L’indomani mattina prepariamo le valigie, le caricammo sulla mia macchina e facemmo colazione in albergo per l’ultima volta. Dal soffitto un piccolo altoparlante diffondeva un brano al pianoforte di Richard Clayderman. Blank non mangiò perché non ne aveva bisogno, Armin non mangiò perché aveva un nodo alla gola – che non c’entrava nulla con Richard Clayderman ma molto con McQuincey – e McQuincey non mangiò perché aveva i postumi della sbornia.

Mariana Leky, ancora una volta, ci chiede di fidarci della sua originale e bizzarra narrazione e ci invita a sospedere l’incredulità, per presentarci un’umanità variopinta, attraverso la quale possiamo vivere e sentire emozioni spesso difficili da raccontare senza scadere nell’eccesso.
La leggerezza con cui si affrontano temi importanti come la morte, l’infertilità, l’abbandono, valgono sicuramente la lettura di questo gradevole romanzo che però, forse anche per la sua brevità, non riesce a raggiungere la stessa profondità del più ricco e avvincente Quel che si vede da qui.

La confezionista di Mariana Leky

un libro per chi: cerca l’originalità anche quando si trattano temi dolorosi e difficili

autrice: Mariana Leky
titolo: La confezionista
traduzione: Scilla Forti
editore: Keller
pagg. 201
€ 16.50

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Chi ha scritto questo post?

Emiliano-romagnola, ragazzina negli anni ’80, si è trasferita a Milano nel 2008 e per molto tempo è stata un "angelo custode di eventi".
Da anni si occupa anche di libri: modera incontri letterari, ha ideato e realizzato la rassegna Segreta è la notte e conduce diversi gruppi di lettura.
Pratica mindfulness dal 2012, sogna sempre le montagne e ascolta musica jazz.
È meno cattiva di quello che sembra e vorrebbe morire ascoltando “La Bohéme” di Puccini.

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