Zucchero bruciato di Avni Doshi

Zucchero bruciato di Avni Doshi

Finalista al prestigioso Booker Prize nel 2020, Zucchero bruciato – romanzo d’esordio dell’americana di origine indiana Avni Doshi, pubblicato in Italia da Editrice Nord – sarà protagonista dell’incontro del 22 giugno del gruppo di lettura Babele.

Zucchero bruciato

Mentirei se dicessi di non aver mai gioito dell’infelicità di mia madre.

Fin dal potentissimo incipit capiamo che ci troviamo di fronte a una storia intensa, decisamente scomoda, a tratti brutale. Una storia universale ed eterna, che parla dell’essere madre e dell’essere figlia, di quel legame che può trasformarsi in tormento pur rimanendo indissolubile.

Antara è ormai adulta, sposata con Dilip e apparentemente padrona di una placida vita borghese nell’India di oggi, ma, come spesso accade, l’inganno ha fondamenta fragili e basta un attimo per far riemergere i traumi di un’infanzia difficile trascorsa al fianco della ribelle e indomabile madre Tara, oggi sessantenne a cui è stato diagnosticato l’Alzheimer.

Ma dormicchia sul divano, e per un istante riesco a immaginarmi che aspetto avrà da morta, quando il viso crollerà e l’aria abbandonerà i polmoni. Intorno a lei ci sono oggetti, carte, cornici piene di facce che non vede da anni. Tra quelle cose il suo corpo appare solo ed esanime e mi chiedo se la forza vitale non derivi dalla necessità di mostrarsi al mondo; se non sia la pressione sociale a costringere il sangue a pompare. È facile disfarsi quando nessuno ti guarda.

La lenta ma implacabile perdita di memoria e identità di Tara costringe Antara a prendersene cura, risvegliando in lei tutto il dolore e l’inadeguatezza provati negli anni della giovinezza, fin da quando, ancora bambina, si era ritrovata a vivere nell’ashram del santone Baba, di cui la madre era diventata amante dopo aver abbandonato il marito.

A dire il vero, il padre di Antara non si era più di tanto impegnato per trattenerle, consapevole che quella moglie fosse del tutto inadatta a lui e nemmeno tanto convinto di volersi occupare di una figlia arrivata da un’unione più che complicata.

Il disordine affettivo e la costante mancanza di stabilità hanno scavato cicatrici così profonde in Antara da spezzarla in due, talvolta mossa dalla necessità di sentirsi figlia e di essere amata ma ancor più spesso posseduta dal feroce desiderio di vendicarsi del passato e di tutto il male subito, di chiudere i conti in sospeso uscendone pulita e vincente.

Lei non lo sa. Non le ho mai detto che c’è stato un periodo nella mia infanzia in cui avevo sempre fame e da allora sono alla costante ricerca di qualcosa che mi sazi. Parlare non è mai stato semplice. E nemmeno ascoltare. A un certo punto si è rotto qualcosa in ciò che eravamo l’uno per l’altra, come se una delle due non avesse rispettato la sua parte di accordo, non avesse retto il proprio lato del ponte. Forse il problema è che siamo entrambe sullo stesso lato, a fissare il vuoto davanti a noi. Forse avevamo fame delle stesse cose, e insieme raddoppiavano solamente quella sensazione.

Questo dualismo schizofrenico, e molto più realistico di quanto la società possa e voglia ammettere, è la colonna portante di una storia che mostra in modo esplicito quanto a volte il rapporto tra madri e figlie sia una condizione dolorosa, faticosa, un atto di rivalità costante, privo della speranza di trovare un equilibrio, un punto d’incontro nell’amore più vero e profondo.

Di tanto in tanto mi chiedeva di mostrare alcune parti del mio corpo. Le fissava e le confrontava con le sue; lei aveva il seno più grande, ma io avevo la vita più stretta. Secondo lei le mie qualità positive erano dovute all’età, ed era certa che a quarant’anni sarei stata più brutta di lei.
Era un avvertimento a non abituarmi a me stessa.
Le cose cambiavano in continuazione e il mio valore dipendeva dalle mie attrattive fisiche, che sarebbero scomparse com’era accaduto a lei.
Avevo la netta sensazione che provasse piacere nel dirmi quelle cose, nel sapere che avrei sofferto quanto lei; si consolava il pensiero che il dolore non sarebbe finito, non mi avrebbe risparmiato.

Può Antara trovare pace se la Tara di oggi non ha più nulla a che vedere con il mostro di allora?
Se la malattia ne ha estratto la cattiveria e l’indifferenza, lasciando solo un guscio ormai destinato a svuotarsi di ogni ricordo e quindi di ogni possibile spiegazione, di un’ormai improbabile offerta di scuse?

Con Zucchero bruciato Avni Doshi non risparmia nulla alle lettrici e ai lettori, raccontando l’ambivalenza della maternità e la storia di una malvagità che passa di madre in figlia, che dilaga nelle famiglie che sfiora perché mai arginata dal volersi bene davvero, a se stessi e quindi agli altri, ancora e sempre unica cura possibile e capace di interrompere anche la più soffocante delle maledizioni.

copertina Zucchero bruciato di Avni Doshi

un libro per chi: ha già fatto i conti con il passato e con i propri genitori, uscendone vivə

autrice: Avni Doshi
titolo: Zucchero bruciato
traduzione: Francesca Martucci
editore: Editrice Nord
pagg. 384
€ 19

Babele il gruppo di lettura disordinato

Chi ha scritto questo post?

Emiliano-romagnola, ragazzina negli anni ’80, si è trasferita a Milano nel 2008 e per molto tempo è stata un "angelo custode di eventi".
Da anni si occupa anche di libri: modera incontri letterari, ha ideato e realizzato la rassegna Segreta è la notte e conduce diversi gruppi di lettura.
Pratica mindfulness dal 2012, sogna sempre le montagne e ascolta musica jazz.
È meno cattiva di quello che sembra e vorrebbe morire ascoltando “La Bohéme” di Puccini.

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