Me’med, la bandana rossa e il fiocco di neve di Semezdin Mehmedinović

Me'med, la bandana rossa e il fiocco di neve di Semezdin Mehmedinović

Me’med, la bandana rossa e il fiocco di neve di Semezdin Mehmedinović – pubblicato da Bottega Errante – non è solo il diario emozionale ed esperienziale di un profugo di guerra approdato negli Stati Uniti, ma è soprattutto un ritratto familiare realistico, tenero e struggente.

Me’med, la bandana rossa e il fiocco di neve

In qualche modo è indecente morire in autunno. È kitsch morire in autunno, quando muore tutto il resto. Insieme alle foglie.

Il 2 novembre 2010 il cuore del cinquantenne Semezdin Mehmedinović cede e lo scrittore bosniaco rischia di morire.
Nudo e disteso su un copriletto dall’originale disegno floreale, Me’med sente tutta la caducità della vita, con quel senso d’impotenza che appartiene a ogni fragile malato che non sa cosa ne sarà del proprio futuro.
Un solo pensiero lo rassicura: la presenza della moglie Sanja, con quel suo carattere dolce ma determinato, colta, brillante e ironica quanto basta a diventare, oltre che compagna di una vita, una vigilante meticolosa e pronta a sgridarlo per ogni sigaretta e ogni altro vizio pericoloso.

In genere gli altri ci vedono come noi non vorremmo che ci vedessero. Nel come gli altri ci vedono via è la radice della nostra vergogna.

Semezdin è diventato Me’med il giorno in cui ha rischiato di morire, quando il dottore che lo stava salvando ha tentato invano di pronunciarne il nome, deviando verso un’abbreviazione compassionevole, quasi svilente.
Ma chi è Me’med?
Un uomo che ha vissuto una guerra, quella dell’ex Jugoslavia culminata con il lungo e feroce assedio di Sarajevo.
Un marito amorevole e sagace.
Un padre che non ha saputo rinunciare alla propria terra su richiesta di un figlio spaventato.
Uno straniero.
Un musulmano.

Come dirlo diversamente? Io non sono bianco. Sempre e in qualsiasi continente io sono una minoranza in pericolo. Per gli europei musulmano, per gli asiatici europeo. Per gli americani… Qui diverse volte mi hanno detto: «Go back to Russia!» e si tratta del più delicato biasimo identitario.

Arrivato negli Stati Uniti nel 1996, Semezdin Mehmedinović ha visto l’America cambiare e il tanto strombazzato sogno americano diventare un incubo.
Una nazione che sapeva essere accogliente e poteva dare un’opportunità anche all’ultimo degli arrivati, precipitata ora verso il baratro del populismo e del razzismo, fino a culminare nell’elezione del presidente Trump.
In viaggio on the road verso il deserto con il figlio Harun, Me’med osserva la terra che diventa ostile e riflette sulla gente che si mostra sempre più diffidente verso chi ha un colore e un accento diversi.

In questi vent’anni di vita qui, ho potuto seguire man mano l’America chiudersi al resto del mondo. Un tempo, però, era diverso. Quando sentivano una lingua estranea in metropolitana, all’aeroporto o come qui al ristorante, in loro si svegliava la curiosità non l’avversione e per nulla al mondo la paura. Vent’anni è un tempo lungo, le persone passano e i mondi cambiano. Qui non amano più gli stranieri. E l’uomo al tavolo accanto mi guardava con disagio, sorpreso della strana lingua che parlavo.

Ma il viaggio dell’autore è soprattutto quello attraverso la memoria, unica ancora per chi ha perso qualcosa e sta cercando di ritrovarsi in una nuova dimensione.
Ed è quando Sanja viene colpita da un ictus e resta a lungo ricoverata che i ruoli nella coppia si ribaltano.
Da accudito Mehmedinović diventa accudente, perché questo accade nella vita reale a chi ama ed è amato.

Faccio la guardia accanto al suo letto. Sono passati tre giorni. Non l’ho mai amata così tanto. In realtà non è vero. Le cose me le dimentico. È già stato così durante la guerra, è sempre così ogni volta che la nostra relazione finisce intrappolata in una disgrazia. È un paradosso soltanto apparente; gli eventi tragici accrescono la nostra forza vitale e il nostro potenziale d’amore. Faccio la guardia accanto al suo letto. Sono una vecchia e sentimentale sentinella.

Aggrappandosi alle parole e ai ricordi, la coppia cerca quindi di affrontare l’ennesima nuova normalità, come se nulla possa andare perduto fino a quando anche l’ultimo barlume di amore, l’ultima scintilla di complicità, continueranno a illuminare una vita – la loro, la nostra – falciata da traumi e dolori.

Il suo modo di parlare è invariato, il fondo delle parole è rimasto lo stesso. Se la lingua è lo specchio del mondo, allora nulla di ciò che lei ricordava (e ora ha dimenticato) è perduto. Se la lingua è salva nella sua interezza, allora tutto il suo mondo, che nella lingua risiede, è rimasto intatto. Vuol dire che nulla è dimenticato, che adesso dobbiamo soltanto sottrarre tutto all’oblio.

Me’med, la bandana rossa e il fiocco di neve è un memoir dal commovente tono confidenziale, ricco di dettagli sulle relazioni umane, sulle paure più basiche e sulle gioie più intime che toccano tutti noi nell’arco della vita.
Una storia in cui specchiarsi e da cui lasciarsi pungere, in cui ritrovare se stessi, la famiglia, le radici, i traumi del passato e l’amore più vero.

Me'med, la bandana rossa e il fiocco di neve di Semezdin Mehmedinović

un libro per chi: a volte dimentica il perché di un amore

autore: Semezdin Mehmedinović
titolo: Me’med, la bandana rossa e il fiocco di neve
traduzione: Elvira Mujčić
editore: Bottega Errante
pagg. 216
€ 17

Chi ha scritto questo post?

Emiliano-romagnola, ragazzina negli anni ’80, si è trasferita a Milano nel 2008 e per molto tempo è stata un "angelo custode di eventi".
Da anni si occupa anche di libri: modera incontri letterari, ha ideato e realizzato la rassegna Segreta è la notte e conduce diversi gruppi di lettura.
Pratica mindfulness dal 2012, sogna sempre le montagne e ascolta musica jazz.
È meno cattiva di quello che sembra e vorrebbe morire ascoltando “La Bohéme” di Puccini.

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