Acqua rossa di Jurica Pavičić

Acqua rossa di Jurica Pavičić

Il pluripremiato Acqua rossa, romanzo di Jurica Pavičić pubblicato da Keller, è certamente un libro da non perdere, un vero page turner che racconta con grande abilità le indagini su un crimine irrisolto intrecciandole alle vicissitudini politiche e sociali dell’ex Jugoslavia, e in particolare della Croazia contemporanea.

Acqua rossa

È il 1989 e la diciassettenne Silva Vela, dopo una notte di festa, non rientra a casa.
La madre Vesna, il padre Jakov e il fratello gemello Mate non ne sono inizialmente preoccupati, sapendo che la ragazza ama divertirsi e che forse ha trascorso la notte con gli amici o con il fidanzato Brane Rokov.
Dopo qualche ora, però, è Mate che inzia a cercarla per il paese, partendo proprio da casa Rokov, dove Uršula, la madre di Brane, gli conferma di non averla vista e che il figlio sta dormendo, rientrato al mattino in pullman da Fiume, dove era andato a sostenere l’esame d’ammissione all’univerisità.

L’inquietudine cresce minuto dopo minuto e quando i familiari scoprono che nel cassetto in camera di Silva mancano il portafoglio, l’agenda e il passaporto, decidono di chiamare la polizia.

A indagare sulla scomparsa della ragazza è Gorki Šain, un vero “rosso”, nipote di un noto partigiano della zona a cui è stata dedicata anche una statua.
Sain segue le procedure e non esita a ribadire ai genitori che nell’ottanta per cento dei casi, quando un adolescente scompare rientra poi a casa da solo dopo qualche giorno.

Qualche giorno però non basta e di Silva non c’è alcuna traccia. Nessuna telefonata, nessun cenno, niente di niente.

Vesna invece non andava da nessuna parte. I primi giorni Jakov le aveva detto che sarebbe stato meglio se qualcuno fosse sempre a casa, “per poter rispondere al telefono”. Vesna, a quanto pareva, lo aveva preso alla lettera. Non usciva più salvo qualche rara occasione come andare in chiesa. Dopo aver tentato di tornare al lavoro, si era fatta mettere di nuovo in malattia. Passava le giornate sul divano fissando tristemente il soffitto con accanto alla radio sempre accesa. Le notizie erano tempestose. Stavano nascendo nuovi partiti partiti politici, si stavano preparando le prime elezioni. In Ungheria i manifestanti avevano proclamato una nuova costituzione, nella Germania dell’Est il segretario del partito Honecker aveva dato le dimissioni. Il mondo stava cambiando senza che né Vesna, né Mate ne prendessero atto.

Adrian Lekaj, figlio del panettiere, è stato l’ultimo ad averla vista.
Durante la festa ballavano avvinghiati, approfittando dell’assenza di Brane, e certamente poi hanno fatto anche altro, perché l’irriverente e vitale Silva non era certo una tipa fedele.

Gorki Šain indaga con i mezzi a sua disposizione sul finire degli anni 80 ma l’unica cosa che riesce a scoprire è che la ragazza aveva una doppia vita e nascondeva della droga, che probabilmente spacciava quando stava a Spalato per studiare.

Jakov, Vesna e Mate sono sconvolti dalla notizia.
Credevano di conoscere Silva, di sapere come trascorresse il proprio tempo e si ritrovano invece a doverla guardare con occhi nuovi, mentre l’ansia e il dolore per la sua scomparsa iniziano a diventare una vera e propria ossessione.

Quando una telefonata anonima accusa Adrian di averla uccisa, nell’orrore della notizia si fa largo anche un vago senso di speranza. Saperla morta sarebbe straziante al punto da togliere il fiato, ma allo stesso tempo darebbe loro la possibilità di mettere la parola fine a quel tempo sospeso, a quelle giornate rarefatte e senza pace.

All’inizio dell’anno nuovo esplose la crisi politica. A ogni angolo si parlava di un colpo di Stato che però non accadde. Il primo giorno dell’anno nuovo il governo, per via dell’inflazione, ridenominò la valuta e dal dinaro tolse quattro zeri. Alla fine del mese i comunisti croati e sloveni abbandonarono il congresso del partito a Belgrado. Era come se lo Stato non esistesse più.
Nel frattempo il caos politico si era infiltrato anche in fabbrica. Per la prima volta lo stipendio tardò ad arrivare. L’azienda per cui producevano i parabordi fallì. All’inizio di gennaio gli operai minacciarono di fare sciopero, e il direttore per calmarli promise tagli del personale amministrativo. Jakov sapeva che c’era solo un motivo per il quale non lo avevano licenziato: la scomparsa di Silva. Era protetto dallo scudo del lutto.

Quando Elda Zuvan, una giovane bancaria, dichiara alla polizia di aver visto Silva all’autostazione, allo sportello delle linee internazionali, la speranza che la ragazza sia viva si riaccende in tutta la famiglia.
E in quello stesso momento viene emessa la condanna che li perseguiterà a lungo: saperla viva ma non averne notizie, non riuscire a trovarla, a parlarle, a chiederle il perché della sua fuga.
Cercarla per sempre e da soli, senza l’aiuto delle forze dell’ordine, perché Silva è ormai maggiorenne e responsabile delle proprie azioni e delle proprie scelte.

Il 30 aprile era il compleanno di Silva e Mate. Il 30 aprile Silva compiva diciotto anni. Ovunque fosse, qualunque cosa facesse, quel giorno Silva diventava maggiorenne.
Quella mattina Jakov si svegliò consapevole che sarebbe stata una giornata difficile e così fu.
Ai figli vivi i genitori organizzano una festa con torta, dolce e giochi da tavolo. I genitori dei figli morti si recano al cimitero, comprano mazzo di fiori lo posano sulla tomba.
Silva non era né morta, né viva, era scomparsa.
Di conseguenza non la si poteva andare a trovare al cimitero né festeggiare con una torta. Con gli scomparsi come lei non si può festeggiare, piangere, parlare e progettare. Se Silva non fosse scomparsa, quel giorno avrebbero parlato dei suoi studi futuri, dell’esame di guida, del posto dello studentato per quando avrebbe iniziato l’università. Al posto di Silva viva, c’era la sua foto. Vesna l’aveva appesa alla parete sopra il tavolo nel tinello, in un punto ben visibile. L’aveva messa lì per ricordare che non erano al completo, che il lavoro non era ancora finito e che in questo senso c’era un vuoto permanente, incolmabile. L’avesse appoggiata sopra un tavolino, davanti alla foto si sarebbe potuto accendere un lumino. Così invece, no. Perché Silva era viva, e sotto la foto della persona viva non si accende un lumino.

Jurica Pavičić mescola sapientemente gli ingredienti del romanzo di genere alla Storia di quegli anni, rendendo Acqua rossa una lettura avvincente e anche capace di raccontare la fine del comunismo e della Jugoslavia, passando attraverso l’atroce guerra fratricida che travolse e cambiò per sempre la configurazione di quei luoghi e arrivando ai giorni nostri, con le speculazioni edilizie per lucrare sull’esplosione del turismo ai danni di chi quella terra la abitava da generazioni.

La scomparsa di Silva coincide con la scomparsa di un mondo intero, quello del comunismo che fino ad allora aveva governato su tutto, con il suo manto rosso come il sangue; quello di decine di famiglie che perdono la propria identità e si trovano a essere minoranza in mezzo a orde di turisti.
Nel raccontare queste storie, Pavičić riesce a trasmettere con estrema veridicità quel senso di profondo smarrimento che coglie chi si trova a vivere l’improvvisa e irrisolta scomparsa di qualcuno di amato, tanto che in alcuni passaggi l’empatia che si prova verso i componenti della famiglia Vela è tale da arrivare a condividere le loro ansie, le frustrazioni e quel dolore acuto e pungente, che non lascia vivere.
Da leggere.

Acqua rossa di Jurica Pavičić

un libro per chi: non perde mai una puntata di Chi l’ha visto

autore: Jurica Pavičić
titolo: Acqua rossa
traduzione: Estera Miočić
editore: Keller
pagg. 367
€ 18.50

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Chi ha scritto questo post?

Emiliano-romagnola, ragazzina negli anni ’80, si è trasferita a Milano nel 2008 e per molto tempo è stata un "angelo custode di eventi".
Da anni si occupa anche di libri: modera incontri letterari, ha ideato e realizzato la rassegna Segreta è la notte e conduce diversi gruppi di lettura.
Pratica mindfulness dal 2012, sogna sempre le montagne e ascolta musica jazz.
È meno cattiva di quello che sembra e vorrebbe morire ascoltando “La Bohéme” di Puccini.

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